IL DISCORSO ALCHEMICO

IL DISCORSO ALCHEMICO E IL SEGRETO DIFFERITO

Malgrado le incertezze sull'etimo del termine arabo che ha prodotto alchimia, Festugière (1983: 218) ritiene indubbio che il fine dell'arte fosse la trasmutazione di metalli comuni in oro e argento. Originalmente però l'arte si sarebbe applicata a trasmutazioni apparenti, e per nulla misteriose: si trattava di dorare, verniciare o al massimo di produrre leghe che avessero l'apparenza dei due metalli nobili. Da questa pratica artigianale sarebbe venuto uno dei termini che poi nella tradizione posteriore assume significati ermetici, e cioè "tintura". Quanto al segreto che proteggeva queste pratiche, e all'uso di espressioni simboliche come "latte di lupa" o "schiuma di mare" per indicare sostanze e procedimenti, si trattava di un accorgimento comune a tutte le confraternite artigiane. I procedimenti per "trasformare" i metalli non venivano divulgati per la stessa ragione per cui la Coca-Cola tiene segreta la propria formula.

È stato tipico dello spirito ermetico di tutti i tempi il trasformare i gerghi operativi delle varie corporazioni artigiane in linguaggi simbolici. Così è avvenuto - e si tratta dell'esempio più famoso - anche con la simbologia dei tagliatori di pietre e degli architetti, che ha poi dato origine ai simboli ermetici della massoneria.

L'alchimia inizia a interessare quando la comune opera di doratura e fusione dei metalli si trasforma nella Grande Opera, nella ricerca della Pietra Filosofale per la reale trasmutazione dei metalli, e nella ricerca dell'Elisir (di lunga vita o dell'immortalità). In tal senso essa opera sullo sfondo della metafisica della simpatia universale, come è sintetizzato da questo brano del De occulta philosophia di Agrippa:

E come le nostre anime comunicano grazie allo spirito le loro forze alle nostre membra, così la virtù dell'anima del mondo rispande sopra le cose tutte grazie alla quintessenza. Perciò gli alchimisti cercano di separare o estrarre questo spirito dell'oro per poi applicarlo a ogni genere di materie simili, e cioè ai metalli, in modo da tramutarli in oro o argento... (I, 14)

In questo processo però l'alchimia assume un'ambiguità che la segnerà per i secoli a venire: non si saprà mai se essa parla veramente di metalli e vuole veramente produrre oro, o se tutto il linguaggio alchimistico e le sue liturgie operative parlano di qualcosa d'altro, di un mistero religioso, della natura stessa della vita, di una trasformazione spirituale.

Alchimia operativa e alchimia simbolica

Un'ipotesi semplicistica è che coesistano due filoni: un'alchimia pratico-operativa che mira davvero a produrre l'oro e un'alchimia simbolica (o mistica o esoterica) che si muove a livello puramente metaforico. Il filone pratico riguarderebbe la trasmutazione dei metalli e la spagirica di Paracelso (ovvero una iatrochimica orientata a fini terapeutici), mentre quello simbolico rappresenterebbe una delle manifestazioni della gnosi ermetica.

L'alchimia operativa potrebbe allora essere studiata come una antesignana della chimica, e con la nascita della chimica si sarebbe estinta. Tale è stata l'interpretazione iniziata con il positivismo ottocentesco, e ancora seguita dalle storie della scienza. In tal caso il linguaggio ermetico degli alchimisti si spiegherebbe: (i) perché è in gran parte una críptologia usata per coprire i segreti di fabbricazione, e come tale appare misterioso al profano ma chiaro agli adepti; (ii) in parte è linguaggio metaforico e scientificamente vago perché spesso lo stesso artigiano non era in grado di descrivere con maggior precisione proprietà e processi di cui non coglieva esattamente la natura. L'alchimia operativa avrebbe avuto in fondo lo stesso fine della chimica (conoscere e combinare le sostanze), ma della chimica non avrebbe posseduto lo spirito analitico e la capacità di quantificare i propri dati. Tuttavia, "pasticciando" con fornelli e alambicchi, gli alchimisti avrebbero dato vita in modo empirico e talora per caso a processi che poi la chimica ha spiegato e prodotto attraverso formule.

Accanto al filone operativo avrebbe prosperato, anche dopo l'estinzione di questo, il filone simbolico, impermeabile alle rivelazioni della scienza moderna. Il filone simbolico sarebbe mistico, esoterico, ermetico e non avrebbe alcun valore scientifico. Di queste affabulazioní simboliche si potrebbe tuttavia dare un'interpretazione psicologica. Il massimo sostenitore dell'interpretazione della simbologia alchemica come rivelazione di archetipi dell'inconscio è stato Jung nei suoi studi su psicologia e alchimia.

Tuttavia le cose non sono così semplici. Da un lato la maggior parte dei testi alchemici si affanna di regola ad attaccare i ciarlatani che si danno all'arte per procurarsi ricchezze (e dunque tutta l'alchimia sarebbe simbolica); dall'altro gli stessi che attaccano i ciarlatani non di rado, secondo la leggenda, si sono offerti a principi e regnanti promettendo di fabbricare oro. Inoltre è curioso notare che molti alchimisti simbolici contemporanei, come il misterioso e celebrato Fulcanelli, abbiano continuato pratiche operative (o abbiano sempre asserito di perseguirle) a dispetto di ogni nozione scientifica ormai corrente, come se (in alchimia) la pratica fosse ritenuta necessaria alla mistica e all'ascetica.

Anche alcuni odierni sostenitori dell'alchimia simbolica che non vantano pratiche operative lasciano tuttavia intendere che scopo dell'arte è raggiungere una trasformazione della personalità che comporta anche l'acquisizione di capacità psichiche straordinarie e di poteri che permettano di agire sulla natura animale, vegetale e minerale. Come esempio di affabulazione alchemica contemporanea, in cui si mescolano farneticazioni operative e farneticazioni simboliche nel quadro di un superomismo razzistico, si veda Julius Evola, La tradizione ermetica, Roma, Mediterranee, 1971.

Sembra pertanto che momento operativo e momento simbolico siano sempre andati di pari passo, almeno come tendenza generale, e che in ogni caso alchimisti operativi e alchimisti simbolici vivessero nello stesso ambiente e parlassero lo stesso linguaggio. L'operatore pratico, da un lato, non poteva non avvedersi che il fornello entro il quale cuoceva la materia era metafora evidente di un utero e di qualsiasi processo donatore di vita, così come di rimbalzo l'alchimista simbolico rivisitava la mitologia classica e la stessa dottrina cristiana per dimostrare che tutti i miti di generazione e trasformazione, e la stessa immagine del ventre di Maria, erano metafore che alludevano alla pratica alchemica.

L'alchimia è segnata da questa ambiguità costitutiva, e come tale va affrontata.

Certamente l'alchimia operativa ha rappresentato un modo, sia pure ingenuo e pre-scientifico, di interrogare la natura, di vederla come cosa viva, luogo di possibili trasformazioni, e ha avuto in comune con la magia un progetto di interrogazione e di dominio della natura stessa. E persino l'alchimia simbolica, nelle sue fantasie di rigenerazione e trasformazione spirituale, in qualche modo si è opposta alla tendenza, prima scolastica e poi cartesiana, di separare lo spirito dalla materia. Al culmine del proprio sogno mistico l'alchimia simbolica ha espresso un desiderio, che si potrebbe definire materialistico, di unità, un'idea di nascita, morte, rinascita spirituale strettamente solidali con la nascita, la morte e la rinascita della natura. In tal senso sarebbe estremamente significativo il simbolismo sessuale che nell'alchimia suggerisce esperienze mistiche, e il simbolismo mitologico e religioso che rinvia a fenomeni materiali.

Il discorso alchemico

Il discorso alchemico è un discorso al quadrato: esso è il discorso dell'alchimia sui discorsi alchimistici.

Se un trattato di alchimia parla, sia pure con metafore oscure, di sostanze e processi che l'operatore conosce, siamo - lo si è detto - di fronte a una crittografia. Si può sempre pensare che quando l'autore usa un termine o un'espressione intenda riferirlo a qualcosa che egli sa o pensa di poter sapere. Se un trattato di alchimia parla di esperienze spirituali, siamo di fronte a un'allegoria mistica, o a un'affabulazione simbolica. Può darsi che l'autore non conosca ciò di cui parla e ne parli in termini poetici proprio per poterlo rendere in qualche modo evidente (e persino per suggerire che di quel Qualcosa di oscuro non si può parlare altrimenti), ma egli vuole pur sempre parlare di Qualcosa che non è il suo discorso.

Invece il discorso alchemico è il discorso di quel testi - o di quelle pagine che appaiono sempre in un testo alchimistico - in cui l'autore parla di ciò che hanno detto gli altri alchimisti, per omologarlo al suo discorso. Il discorso alchemico è il discorso che l'alchimia fa sulla continuità discorsiva della tradizione alchemica.

Questo discorso interessa, la semiosi ermetica, perché:

- non solo si regge sull'idea della simpatia e della somiglianza universale, ma trasferisce questo principio al linguaggio, verbale e visivo, asserendo che ogni parola e ogni immagine ha il significato di molte altre;

- sulla base di questo criterio fa slittare continuamente il proprio senso, alla ricerca di un segreto che viene sempre promesso e sempre eluso. Questo segreto è certo il segreto dell'alchimia, ma in quanto è stato promesso ed eluso dai testi precedenti.

L'ermetismo della semiosí alchemica si basa su tre principi:

1. Siccome oggetto dell'arte è un segreto massimo e indicibile, il segreto dei segreti, qualsiasi espressione non dice mai quello che sembra voler dire, qualsiasi interpretazione simbolica non sarà mai quella definitiva, perché il segreto starà sempre altrove: "Povero stolto! Sarai così ingenuo da credere che ti insegniamo apertamente il più grande e il più importante dei segreti? Ti assicuro che chi vorrà spiegare secondo il senso ordinario e letterale delle parole ciò che scrivono i Filosofi Ermetici si troverà preso nei meandri di un labirinto dal quale non potrà fuggire, e non avrà filo di Arianna che lo guidi per uscirne" (Artefio). Oppure: "Lo studioso lettore faccia attenzione alle varie interpretazioni delle parole perché i Filosofi, con ingannevoli tortuosità, e con parole a doppio senso, e il più delle volte persino di senso opposto, spiegano i loro misteri con grande cura di complicare e occultare la verità, ma non di alterarla o distruggerla. Così i loro scritti abbondano di voci ambigue e omonime" (Jean d'Espagnet, Opera arcana, 15).

2. Quando sembra che si parli di sostanze comuni, oro, argento, mercurio, si sta parlando di un'altra cosa, l'oro o il mercurio dei filosofi, che non hanno nulla a che vedere con quelli comuni. Ma quando ci si convince che si sta parlando di altra cosa, allora è probabile che si stia parlando anche di sostanze comuni. "Tutta 1'alchimia non poté ridursi a una chimica allo stato infantile... Nella sua essenza essa resta tuttavia una scienza `tradizionale' a carattere cosmologico e iniziatico. Data la natura sintetica di tali scienze, essa poté anche includere un lato chimico" (Evola, cit., p. 212).



3. Se il segreto e la maschera simbolica sono fondamentali, e nessun discorso dice mai quello che sembra dire, all'inverso ogni discorso parlerà sempre dello stesso segreto: qualsiasi cosa gli alchimisti dicano, dicono sempre la stessa cosa, e il disaccordo totale dei loro discorsi (nessuno dei quali sembra a prima vista traducibile nei termini di un altro) è la garanzia del loro accordo profondo: "Sappiate che noi siamo tutti d'accordo, qualsiasi cosa diciamo... Uno rischiara quello che l'altro ha nascosto e colui che davvero ricerca può trovare tutto" (Turba Philosophorum). "La maggior parte dei filosofi ha affermato che la loro opera di regia è composta completamente dal Sole e dalla Luna. Ad altri piacque aggiungere Mercurio... Essi medesimi dichiararono che la loro pietra si crea ora da una cosa soltanto, ora da due, ora da tre, da quattro e persino da cinque, perché in tale vario modo scrivono della medesima cosa, ma vogliono dire sempre lo stesso" (Jean d'Espagnet, cit., 19).

La Grande Opera

L'alchimia si propone di operare su una Materia Prima in modo da ottenerne, attraverso una serie di manipolazioni, la Pietra Filosofale, capace di operare la proiezione, e cioè la trasformazione dei metalli vili in oro. La Materia Prima è intesa da alcuni come qualsiasi materia assunta quale sostanza di partenza per le manipolazioni successive, ma in questo caso è più facilmente chiamata "prima materia". Secondo l'opinione più diffusa la Materia Prima propriamente detta è invece una materia originaria, la hyle degli antichi filosofi, forse lo spiritus mundi dell'ermetismo neoplatonico. Come tale non è reperibile in natura, e dunque l'inizio stesso dell'opera si presenta come problematico e misterioso. Un'altra interpretazione possibile è che nella prima fase dell'opera, nel processo di decomposizione e cottura, qualsiasi prima materia assunta produca la Materia Prima che sta nel cuore di ogni materia empirica.

Queste manipolazioni della Materia Prima avvengono attraverso tre fasi, contraddistinte dal colore che la materia via via assume: l'Opera al Nero, l'Opera al Bianco e l'Opera al Rosso. Le tre opere sembrano da un lato corrispondere a un ritmo astronomico (notte, alba, apparizione del sole), dall'altro a ritmi biologici (morte e risurrezione, la putrefazione del seme nel seno oscuro della terra, la nascita e l'espansione del fiore o della pianta). Le tre opere sono però anche tre tipi di manipolazione chimica. L'Opera al Nero prevede una cottura e una decomposizione della materia, l'Opera al Bianco è un processo di sublimazione o distillazione e l'Opera al Rosso lo stadio finale (il rosso è colore solare e il Sole sta sovente per l'Oro, e viceversa).

Secondo alcuni è nella fase della putrefazione (morte) che si liberano i due agenti primordiali dell'opera: lo zolfo (caldo, secco e maschile) e il mercurio (freddo, umido e femminile). La fusione di questi due principi, simboleggiati anche dal Re e dalla Regina, rappresenta le Nozze Chimiche il cui risultato (talora detto Rebis) è la nascita di un Fanciullo androgino, il Sale Filosofale (Opera al Bianco). Di lì si procederebbe all'Opera al Rosso, sperimentalmente assai oscura, e misticamente intesa come momento di estasi e illuminazione totale.

Tuttavia si possono trovare nei testi affermazioni come la seguente (dovuta a Dom Pernety): "I termini' distillazione, sublimazione, calcinazione, assazione o digestione o cottura, riverberazione, dissoluzione, discensione e coagulazione non sono che una stessa e unica Operazione, fatta in un medesimo vaso, vale a dire una cottura della materia..."

Strumento fondamentale della manipolazione è il forno ermetico, l'atanor, ma vengono usati anche alambicchi, vasi, mortai, tutti designati con nomi simbolici, come uovo filosofico, ventre materno, camera nuziale, pellicano, sfera, sepolcro eccetera.

Le sostanze fondamentali sono lo zolfo, il mercurio e il sale. E oggetto di dibattito se si tratti delle sostanze note sotto questi nomi o del mercurio, dello zolfo e del sale dei filosofi, non reperibili in natura e ottenibili solo nel corso dell'opera.

La Pietra Filosofale sarebbe, nell'accezione teorica, il raggiungimento iniziatico della conoscenza, il momento dell'illuminazione. Heinrich Khunrath nel suo Amphitheatrum Sapientiae Aeternae (1609) identifica la Pietra con Cristo.

Alcuni alchimisti distinguono fra Pietra ed Elisir di lunga vita. In altri testi l'Elisir si identifica con la Quintessenza, una sostanza che contiene al massimo grado di perfezione le caratteristiche presenti imperfettamente nei quattro elementi classici (acqua, aria, terra e fuoco). Nel Trattato della Quintessenza di Giovanni di Rupescissa (XV secolo), questa sostanza si ottiene dalla distillazione del vino, della frutta o di altre sostanze, e come l'Elisir ha il potere di prolungare la vita. Altri autori sembrano considerare Elisir e Quintessenza due cose diverse. Per Pernety la Tintura altro non è che "lo stesso Elisir reso scisso, fusibile, penetrante e tingente..."

Se però andiamo a leggere l'Opera Arcana della Filosofia Ermetica di Jean d'Espagnet (1623), vediamo che la Pietra dei Filosofi ha anche le proprietà dell'Elisir, perché risulta "assai potente per sanare sia i metalli imperfetti che i corpi malati".

Un discorso di sinonimia totale

A causa della vaghezza voluta del simbolismo, la lettura di un qualsiasi testo alchemico rappresenta sempre un'esperienza snervante. Di fatto il testo si presenta al tempo stesso come svelamento di un segreto e occultamento dello stesso. Capire il testo, e il suo linguaggio, significa essere riusciti a fare ciò che il testo consiglia. Ma per farlo occorre capire il testo. Questa situazione circolare lascia comprendere che il testo alchemico rivela un segreto a chi lo conosce già e quindi è in grado di individuarlo sotto la superficie del discorso per simboli.



Come ogni esperienza iniziatica, l'esperienza alchemica si definisce come ineffabile. Quindi qualsiasi testo alchemico finge di dire quello che afferma che non si possa dire. Intendere un testo alchemico come ricettario porta a conseguenze che per la semiosi ermetica sono banali. Per esempio, se si prendono alla lettera le istruzioni del Rupescissa per la produzione della Quintessenza, si perviene a distillare ottima grappa di vinaccia, slivoviz o gin - il che peraltro spiegherebbe molti stati di estasi e illuminazione vantati da celebri adepti. Dell'Elisir e della Polvere di proiezione dice Evola (cit., p. 228) che "occorre sempre un certo grado di esaltazione e di avviamento in colui per o sul quale essi debbono agire, onde ottenere il risveglio e il trasferimento nel suo essere della forza che, magari, sarà poi soprattutto essa a operare, oggettivamente". E d'altra parte, quando lo storico della scienza prende il testo del Rupescissa alla lettera (cfr. Debus 1978: 32) trova che le istruzioni per la produzione della Quintessenza erano ottimi consigli empirici per estrarre oli ed essenze vegetali di tutti i generi.

Il testo alchemico ottiene invece il suo effetto iniziatico se viene letto come elemento di un rituale incantatorio, atto a provocare stati di sovreccitazione estatica.

Dato che, per esplicita ammissione degli adepti, ogni testo dice la stessa cosa degli altri, individueremo alcuni elementi di semiosí ermetica in un esempio del tardo alchimísmo settecentesco, Les fables égyptiennes et grecques dévoilées et reduites au méme principe (Paris, Bauche, 1758), pubblicato con grande successo da Dom Antoine Pernety, un benedettino francese autore anche di un Dizionario mito-ermetico. Questo testo rappresenta una reinterpretazione di tutta la mitologia classica come allegoria ermetica (in particolare il mito degli Argonauti e del vello d'oro, cavallo di battaglia dell'ermetismo). L'opera contiene però una lunga parte introduttiva di circa duecento pagine che rappresenta una summa dell'arte alchemica. Quest'opera si presea come un collage di tutti i testi classici (alcuni citati espressamente, altri riassunti senza riferimenti specifici), e quindi è un modello di discorso alchemico che parla solo di altri discorsi alchemici. Ma al tempo stesso è, più di altre, particolarmente consapevole dei meccanismi semiosici di ogni discorso alchemico.

Dopo aver fatto nascere l'alchimia da Ermete Trismegisto, Pernety prosegue:

Ma in qual modo si possono comunicare d'epoca in epoca questi mirabili segreti e tuttavia custodirli nascosti al pubblico? Attraverso la tradizione orale si correva il rischio di perderne persino il ricordo; la memoria è troppo fragile perché possiamo fidarcene. Queste tradizioni si offuscano a mano a mano che si allontanano dalla loro sorgente, sino al punto in cui non è più possibile districare il caos tenebroso in cui sono sepolte e l'oggetto e la materia di queste tradizioni. Se si fossero affidati questi segreti a scritti in lingue e caratteri d'uso corrente, ci si sarebbe esposti a vederli divulgati per la negligenza di coloro che avrebbero potuto smarrirli, o per l'indiscrezione di quelli che avrebbero potuto carpirli... Perciò non v'era altra risorsa che quella dei geroglifici, dei simboli, delle allegorie, delle favole eccetera, le quali, essendo aperte a spiegazioni differenti, potevano servire a istruire gli uni mentre gli altri sarebbero rimasti nell'ignoranza. (Préface, pp. VII-VIII)

Lo studio [della filosofia ermetica] è tanto più difficile in quanto le continue metafore ingannano chi s'illude di capire alla prima lettura gli autori che ne parlano. Tuttavia questi autori avvisano che tale scienza non può essere trattata così chiaramente come le altre a causa delle funeste conseguenze che potrebbero derivarne per la vita civile. Essi ne fanno un mistero, che si ingegnano di oscurare anziché chiarire. Perciò raccomandano sempre di non prenderli alla lettera, di studiare le leggi e i procedimenti della natura, di confrontare le operazioni di cui parlano con quelle che alla natura sono proprie e di accettare solamente quelle che il lettore troverà conformi. (Discours préliminaire, pp. 4-5)

I filosofi ermetici sono tutti d'accordo fra loro: nessuno contraddice i principi dell'altro. Colui che ha scritto trent'anni fa parla come colui che è vissuto duemila anni addietro... [Essi] non cessano mai di ripetere questo assioma che la Chiesa adotta come la prova più infallibile della verità di ciò a cui ci propone di credere: "Quod ubique, quod ab omnibus, et quod semper creditum est, id firmissime credendum pura."

(Discours préliminaire, p. 11)

Pernety sviluppa quindi una teoria della Materia Prima, dello Spirito del mondo, dei quattro elementi classici - si noti che sta scrivendo ormai nel secolo di Lavoisier - e quindi passa a parlare delle operazioni alchemiche fondamentali, sublimazione, filtrazione e cottura, e dei tre elementi dell'opera, il mercurio che nascerebbe dall'acqua e dalla terra, lo zolfo che nasce dalla terra secca e dall'aria, il sale che nasce da un'acqua grassa e aspra e dall'aria cruda che vi si trova confusa (Pernety si rifà a un trattato di fisica sotterranea, del Becher, anteriore di un secolo).

Riportiamo alcune significative osservazioni sulla Materia:

I filosofi, sempre vigili nell'occultare tanto la loro materia quanto i loro processi, chiamano indifferentemente loro materia la materia stessa in tutti gli stati in cui viene a trovarsi nel corso delle operazioni. A tale scopo le danno molti nomi particolari che le si addicono solo in generale, così che mai un qualsiasi misto ha avuto tanti nomi. Essa è una e ogni cosa, essi dicono, perché è il principio radicale di tutti i misti. E in tutto ed è simile a tutto poiché è suscettibile di tutte le forme, ma sempre prima che venga assegnata a qualche specie di individui dei tre regni della Natura. Quando è assegnata al genere minerale, dicono ch'è simile all'oro, poiché ne è la base, il principio e la madre, e perciò la chiamano oro crudo, oro volatile, oro immaturo e oro lebbroso. Essa è analoga ai metalli, costituendone il mercurio di cui sono composti. Lo spirito di questo mercurio è talmente congelante che lo si chiama il padre delle pietre sia preziose che volgari; esso è la madre che le concepisce, l'umido che le nutre e la materia che le fa. (La matière est une et toute chose, p. 140)

Terminerò... citando alcune materie che i soffiatori volgarmente adoperano per fare la Medicina Aurea o Pietra Filosofale, materie che i veri filosofi escludono completamente. Ripley così ce ne parla: "Ho fatto moltissimi esperimenti su tutte le cose di cui i filosofi parlano nei loro scritti, per fare l'oro e l'argento... Ho lavorato sul cinabro, ma non valeva niente; e anche sul mercurio sublimato che mi costava assai caro. Ho fatto molte sublimazioni di spiriti, di fermenti, di sali del ferro, dell'acciaio e loro schiume, credendo di pervenire con questo mezzo e queste materie a fare la Pietra; ma infine ho dovuto riconoscere che avevo perduto tempo, pena e denaro. Eseguivo esattamente tutto ciò che era prescritto dagli autori, e trovavo che i processi che insegnavano erano falsi. Poi preparai delle acque forti, delle acque corrosive, delle acque ardenti, con le quali operai provando in diverse maniere, ma il risultato fu sempre nullo. Dopo ricorsi ai gusci d'uovo, allo zolfo, al vetriolo (che gli artisti insensati prendono per il Leone verde dei filosofi), all'arsenico, all'orpimento, al sale ammoníaco, al sale di vetro, al sale alkali, al sale comune, al salgemma, al salnitro, al sale di soda, al sale attíncar, al sale di tartaro, al sale alembrot; ma credetemi, diffidate di tutte queste materie. Evitate i metalli imperfetti rubificati, l'odore del mercurio, il mercurio sublimato o precipitato, altrimenti sarete ingannati come me. Ho provato tutto: il sangue, i capelli, l'anima di Saturno, le marcassiti,l'aes ustum, lo zafferano di Marte, le scaglie e la schiuma del ferro, il litargirio, l'antimonio; ma tutto ciò non vale assolutamente nulla. Ho molto lavorato per ricavare l'olio e l'acqua dall'argento, ho calcinato questo metallo sia con un sale preparato sia senza sale, e con l'acquavite, e ne ho ricavato degli oli corrosivi, ma tutto ciò risultava inutile. Ho adoperato gli oli, il latte, il vino, il caglio, lo sperma delle stelle che cade sulla terra, la celidonia, la placenta dei feti, e un'infinità di altre cose, e non ne ho ricavato alcun profitto. Ho mescolato il mercurio ai metalli riducendoli in cristalli pensando di fare qualcosa di buono, ho cercato nelle stesse ceneri, ma credetemi, evitate queste bestialità. Ho trovato vera una sola Opera." ... La materia della Grande Opera deve essere di natura minerale e metallica: ma quale sia questa materia particolare, nessuno l'ha mai detto con precisione. (La matière est une et toute chose, pp. 142-143)

Quanto alla totale polisemia che domina il discorso sulle fasi, valga questa pagina esemplare:

La putrefazione della materia nel vaso è, dunque, il principio e la causa dei colori che si manifestano; il primo, abbastanza permanente o di una certa durata, che deve apparire, è il color nero... Questo colore significa la putrefazione e la generazione che ne segue, e che ci è data mediante la dissoluzione dei nostri corpi perfetti. Queste ultime parole indicano che il Flamel parla della seconda operazione, e non della prima: "Questa dissoluzione è prodotta dal calore esterno il quale aiuta, e dal1'igneità pontica, e virtù crudele, e perciò mirabile, del veleno del nostro mercurio, il quale mette e risolve in pura polvere, anzi in polvere impalpabile, ciò che trova e che gli resiste. Così il calore agendo sopra e contro l'umidità radicale metallica, vischiosa e oleosa, genera sul soggetto la nerezza"... La vera chiave dell'Opera è questa nerezza all'inizio delle operazioni, e se apparisse prima del nero un altro colore, o rosso o bianco, vorrebbe dire che non si è riusciti... Le colorazioni bluastra e giallastra indicano che la putrefazione e la dissoluzione non sono ancora ultimate. La nerezza è il vero segno d'una perfetta soluzione. Allora la materia si dissolve in una polvere più minuta, per così dire, degli atomi che turbinano nei raggi del sole, e questi atomi si mutano in acqua permanente... È essa che ha fornito ai filosofi la materia per tante allegorie sui morti e sulle tombe. Alcuni l'hanno chiamata anche: calcinazione, denudazione, separazione, triturazione, assazione, a causa della riduzione delle materie in polvere minutissima. Altri: riduzione nella primiera materia, mollificazíone, estrazione, commistione, liquefazione, conversione degli elementi, sottilízzazione, divisione, humazione, impasto e distillazione. Altri ancora: xír, ombre ciurmerie, voragine, generazione, ingressione, sommersione, complessione, congiunzione, impregnazione. Quando il calore agisce su queste materie, le stesse si mutano dapprima in polvere e acqua grassa e collosa che evapora alla sommità del vaso, poi ne ridiscende sul fondo come rugiada o pioggia, dove diventa quasi come un brodo nero e grasso. Perciò si è parlato di sublimazione e volatilizzazione, ascensione e discensione. Quando si è coagulata, l'acqua diventa dapprima come la pece nera, per cui è stata chiamata terra fetida e puzzolente. Essa allora emana un tanfo di muffa, di sepolcro e di tomba. (La del de l'oeuvre, pp. 153-156)

D'altra parte, in questo gioco di slittamento dei termini, pare che si scambino di ruolo anche contenente e contenuto. Gli alchimisti, e Pernety tra loro, parlano del vaso dove, così come avviene per il seme nella terra e nell'utero animale, avvengono i vari processi. Il vaso è chiamato variamente con termini metaforici mutuati dalla mitologia, o alambicco, o cucurbita o altro ma, avverte Pernety, si tratta sempre di un unico vaso (e poi ne descrive tre). Tuttavia in un paragrafo precedente, dove il Mercurio dei filosofi viene definito come "una cosa che dissolve i metalli" e come "un vapore secco per nulla vischioso", segue l'affermazione: "Il Mercurio dissolvente è il vaso unico dei filosofi nel quale si compie tutto il mistero." Pernety riporta una cinquantina di nomi che la tradizione dà al mercurio (aceto dei filosofi, acqua ardente, bagno, fumo, fuoco, liquore, luna, mare, palpebra superiore, spirito crudo e così via) e fra queste denominazioni appaiono anche "sepolcro, stomaco di struzzo, vaso dei filosofi", che altrove servono per indicare i vasi veri e propri e in particolare l'atanor.

Così, fra il centinaio di nomi alternativi elencati per il Bianco c'è argento vivo - e sappiamo che l'argento vivo è il Mercurio, il quale come principio femminile avrebbe dovuto unirsi precedentemente con lo zolfo, maschile, per dare origine al Fanciullo, il sale, che è appunto il risultato dell'Opera al Bianco. Vale la pena di riportare l'elenco dei vari nomi del Bianco:

I filosofi, tra gli altri nomi, gli hanno dato anche i seguenti: rame bianco, agnello, agnello immacolato, aibathest, bianchezza, alborach, acqua benedetta, acqua pesante, talco, argento vivo animato, mercurio coagulato, mercurio purificato, argento, zoticon, arsenico, orpimento, oro, oro bianco, azoch, baurach, borace, bue, cambar, caspa, cerusa,

cera, chaía, comerisson, corpo bianco, corpo impropriamente detto, Dicembre, E, elettro, essenza, essenza bianca, Eufrate, Eva, fada, favonio, fondamento dell'arte, pietra preziosa di gívinis, diamante, calce, gomma bianca, ermafrodito, hae, ipostasi, hyle, nemico, insipido, latte, latte di vergine, pietra nota, pietra minerale, pietra unica, luna, luna piena, magnesia bianca, allume, madre, materia unica dei metalli, mezzo dispositivo, mestruo, mercurio nel suo tramonto, olio, olio vivente, legume, uovo, flemma, piombo bianco, punto, radice, radice dell'arte, radice unica, rebis, sale, sale alkali, sale alebrot, sale alembrot, sale fusibile, sale di natura, salgemma, sale dei metalli, sapone dei saggi, seb, placenta, sedina, vecchiaia, seth, serinech, servo fuggitivo, mano sinistra, compagno, sorella, sperma dei metalli, spirito, stagno, sublimato, succo, zolfo, zolfo bianco, zolfo untuoso, terra, terra fogliata, terra feconda, terra in potenza, campo nel quale bisogna seminare l'oro, tevos, tincar, vapore, stella della sera, vento, virago, vetro, vetro del faraone, ventuno, orina di bambino, avvoltoio, zibach, ziva, velo, velo bianco, narciso, giglio, rosa bianca, osso calcinato, guscio d'uovo eccetera. (Signes, pp. 184-185)

Arriviamo finalmente all'Opera al Rosso. Ma anche qui la terminologia si complica, perché alcuni dei fenomeni che avvengono in questa fase sono designati dagli stessi nomi che designavano fenomeni delle fasi precedenti:

La maggior parte dei filosofi iniziano i loro trattati dell'Opera dalla Pietra al rosso... Ciò costituisce per coloro che leggono una sorgente d'errori, non solo perché non riuscirebbero a indovinare di quale materia parlano i filosofi, ma anche a causa delle operazioni e delle proporzioni delle materie della seconda Opera, o fabbrica dell'Elisir, ben diversa da quelle della prima Opera. Benché Morieno ci assicuri che questa seconda Opera altro non è che una ripetizione della prima, è però bene notare che ciò ch'essi chiamano fuoco, aria, terra e acqua nell'una non sono le stesse cose alle quali danno questi nomi nell'altra. Il loro mercurio è chiamato mercurio tanto in forma liquida che secca. Per esempio, quelli che leggono Alfidio s'immaginano che allorquando costui chiama la materia dell'Opera miniera rossa, occorrerebbe cercare per l'inizio delle operazioni una materia rossa; quindi gli uni si pongono a lavorare sul cinabro, altri sul minio, altri ancora sull'orpimento, e altri infine sulla ruggine del ferro; poiché essi ignorano che questa miniera rossa è la Pietra perfetta al rosso, e che Alfidio comincia il suo trattato solo da questa. Ma affinché chi leggerà quest'opera e vorrà lavorare non sia tratto in inganno, ecco qui un gran numero di nomi che si danno alla Pietra al rosso: acido, acuto, adamo, aduma, almagra, alto ed elevato, alzernard, anima, ariete, oro, oro vivo (...), gomma rossa, hageralzarnad, uomo, fuoco, fuoco di natura, infinito, giovinezza, hebrit, pietra (...), Marte, olio incombustibile, olio rosso, oliva, oliva perpetua, oriente, padre, una parte, pietra stellata, phison, re, réezon, residenza, rossore (...), teriaca, thelima, thion, thita, toarech, varo, vena, sangue (...), vetro, saaph, zahau, zit, zumerch, zumelazulí, sale d'orina eccetera. (Signes, pp. 187-189)

D'altra parte d'Espagnet diceva che i filosofi riconoscono un triplice Mercurio, e proseguiva: "Poi nella seconda preparazione, che è chiamata prima dagli autori che omettono la prima, quando già il Sole è reincrudato e risolto nella sua prima materia, il Mercurio, quand'è di tal genere, vien propriamente detto Mercurio dei corpi o dei filosofi; allora la materia si chiama Rebis, Caos, Mondo Intero, in cui si trova tutto quanto è necessario all'Opera, poiché quello soltanto basta per ottener la Pietra." Poi aggiungeva che per alcuni il Mercurio dei filosofi si identifica con l'Elisir e la Tintura tingente. Per Pernety il Rebis è la fusione del principio maschile e femminile riuniti nel vaso alla fine della prima operazione. Nel suo Dizionario mito-ermetico Pernety precisa pure che "i filosofi hanno dato anche il nome di Rebis alla materia dell'Opera pervenuta al Bianco perché allora essa è Mercurio animato dal suo zolfo..."

Ci si accorge quindi che,la stessa immagine e lo stesse termine mutano significato a seconda del contesto - in questo caso a seconda della fase od opera che descrivono.

Pernety è interessante ai nostri fini perché è un eclettico che cerca di tener conto di tutti i discorsi alchemici di ogni epoca, e per ciò stesso mette in scena l'infinita traducibilità di ogni discorso in un altro, di ogni termine nel suo opposto e ci dà l'immagine viva di una semiusi ermetica in esercizio, come processo in cui si passa all'infinito da simbolo a simbolo senza mai poter identificare la serie di oggetti e di processi di cui si starebbe svelando il segreto.

Nell'opera di Pernety emerge chiaramente che il discorso alchemico è polisemo perché fondato su termini tutti diversi e tutti fondamentalmente sinonimi. Il paradosso del discorso alchemico è che dice infinite cose ma al tempo stesso ne dice sempre una sola - salvo che non è dato di sapere quale sia. In questo senso Pernety è molto onesto perché alla fine della sua introduzione svela il vortice metalinguístico su cui si regge il discorso alchemico: esso non fa altro che nominare continuamente se stesso.

Non bisogna quasi mai prendere alla lettera le parole dei filosofi, poiché tutti i loro termini hanno un doppio significato, e pongono cura a trovare i termini maggiormente ambigui. Se alle volte fanno uso di termini noti e di uso corrente, quanto più semplice, chiaro e naturale parrà il loro discorso, tanto più bisognerà supporre che sia artificioso. Timeo danaos et dona ferentes. In quei passi ove invece gli autori paiono imbrogliati, involuti e quasi inintelligibili, allora bisogna studiare con maggiore attenzione: ivi è nascosta la Verità...

I termini: conversione, disseccazione, mortificazione, ispessimento, preparazione e alterazione significano la medesima cosa nell'Arte Ermetica. La sublimazione, la discensione o circolazione della materia, la distillazione, la putrefazione, la calcinazione, la congelazione, la fissazione, la cerazione, per quanto in sé siano cose diverse, tuttavia nell'Opera costituiscono una medesima operazione continuata nel medesimo vaso. I filosofi hanno dato tutti i nomi citati alle differenti cose o mutamenti che hanno visto succedersi nel vaso... Quindi è necessario considerare e ritenere questa operazione unica ma espressa in termini diversi; e si comprenderà che tutte le seguenti espressioni significano sempre la stessa cosa: distillare all'alambicco; separare l'anima dal corpo; bruciare; acquificare; calcinare; cerare; dare a bere; adattare insieme; far mangiare; riunire; correggere; crivellare; tagliare con le tenaglie; dividere; unire gli elementi; estrarli; esaltarli; convertirli; mutarli l'uno nell'altro; tagliare con il coltello; colpire di spada, d'ascia, di scimitarra; trafiggere con la lancia, con il giavellotto, con la freccia; ammazzare; schiacciare; legare; slegare; corrompere; fondere; generare; concepire; mettere al mondo; attingere; umettare; innaffiare; imbevere; impastare; amalgamare; interrare; incerare; lavare; lavare con il fuoco; addolcire; lucidare; limare; battere con il martello; mortificare; annerire; putrefare; girare intorno; circolare; rubificare; dissolvere; sublimare; liscivare; inumare; risuscitare; riverberare; stritolare; ridurre in polvere; pestare nel mortaio; polverizzare sul marmo - e tante altre espressioni simili, le quali tutte vogliono dire soltanto di cuocere mediante un medesimo regime, sino al rosso cupo. Si deve dunque aver cura di non rimuovere il vaso e toglierlo dal fuoco perché, se la materia si raffreddasse, tutto andrebbe perduto. (Règles générales, pp. 202-206)

Il vero e unico risultato della Grande Opera è la vita spesa nel perseguire la Grande Opera, progetto semiosico per eccellenza perché, in fin dei conti, anche degli innumerevoli esperimenti degli alchimisti pratici, l'adepto conosce solo ciò che il discorso alchemico oscuramente gli suggerisce, lasciandogli continuamente sospettare che di fatto essi non siano mai avvenuti, non debbano e non possano avvenire, perché chi ha cercato di realizzarli per ottenere effetti pratici non era affatto il vero alchimista, ma un ciarlatano. Come tutti i segreti potenti e affascinanti, il segreto alchemico conferisce potere a chi asserisce di possederlo, perché di fatto è inattingibile. La sua ínattingibílità e la sua impenetrabilità sono totali, perché il segreto è ignoto persino a chi annuncia di possederlo. La forza di un segreto sta nell'essere sempre annunciato ma mai enunciato. Se fosse enunciato perderebbe il suo fascino. Il potere di chi annuncia un segreto vero è di possedere un segreto vuoto.